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Sabato, 08 Dicembre 2012 22:29

Cibo halal per la crescita economica

A differenza del cristianesimo, l'islam ha un codice alimentare: i musulmani possono consumare solo cibi e bevande 'halal', 'leciti' per la legge sacra. Il limite nel consumo riguarda anche altro, come farmaci, cosmetici e servizi finanziari e assicurativi. Il mercato dei prodotti halal è enorme e cresce in modo costante, con il benessere dei Paesi islamici.

Nel mondo i consumatori sono oltre due milardi e in Europa 35 milioni, per un giro d'affari rispettivamente di 660 miliardi e 70 miliardi di dollari, secondo il Concilio mondiale del cibo halal (Whfc). In Italia i consumatori sono 4 milioni e da solo il settore del cibo halal fattura 13 miliardi di euro – otto miliardi dall'esportazione e cinque dal mercato interno – secondo l'ente di certificazione Halal Italy Authority, rappresentante in Italia dell'autorità di certificazione internazionale Halal International Authority.

Le aziende italiane operano in questo ambito solo da pochi anni. "Le prospettive di sviluppo sono notevoli: potrà aiutare la crescita economica del Paese. E molte aziende si stanno interessando", ci spiega Sharif Lorenzini, presidente di Halal Italy Authority. L'organo finora ha certificato 130 ditte nostrane. Il marchio halal diventerà sempre più necessario per l'export nel mondo islamico, perché, ricorda Lorenzini, i paesi musulmani stanno introducendo barriere doganali per importare solo prodotti con certificazione di enti riconosciuti.

Proprio nella Penisola si terrà l'incontro annuale del Whfc Europa, nei primi due giorni di marzo a Milano. È la prima volta nel nostro Paese. "Aiuterà l'Italia a conoscere il mondo halal e il mondo halal a conoscere l'Italia", dice Lorenzini. La sua autorità, unico membro italiano del Whfc, è organizzatrice e padrone di casa dell'evento. Vi parteciperanno rappresentanti del Concilio ed esperti di prodotti halal.

Due saranno i punti principali in agenda. Il primo è la standardizzazione della certificazione, con la possibilità di creare organismi di formazione del personale tecnico e religioso e un albo internazionale degli operatori di settore. Il secondo è un grosso problema che limita l'espansione delle imprese italiane ed europee nel mercato mondiale: c'è poca chiarezza sul rilascio della certificazione di qualità halal da parte di organi non riconosciuti a livello internazionale e di dubbia aderenza alla dottrina islamica, ha rilevato il Whfc. Il Concilio fu fondato nel 1999 proprio per rafforzare la cooperazione fra gli organi di certificazione halal, e la sua missione è armonizzare gli standard in materia. Vi aderiscono anche governi, come quelli di Singapore e Indonesia.

Il problema, chiarisce Lorenzini, è la presenza di enti di certificazione irregolari, che "sono molti e spuntano come funghi" perché il fenomeno cresce con il volume del mercato. Nella Penisola sono "fra 25 e 30" e si dividono in tre tipi. Il primo è l'ente di certificazione tradizionale che tratta i prodotti halal anche se non ha personale con la necessaria formazione etico-religiosa e tecnica; "in Italia ce ne sono due", afferma Lorenzini. Il secondo è l'ente con personale insufficiente nel numero e nella preparazione; sarebbero circa 22. Infine, il terzo è l'ente gestito da persone che si fingono musulmane. Il fenomeno degli enti irregolari si lega a quello delle imprese che spacciano i propri prodotti per halal, perché possono rivolgersi a loro per ottenere il marchio di qualità quando non lo falsificano direttamente. Tutto questo danneggia sia i consumatori, in Italia e attraverso l'export anche all'estero, sia gli enti e le imprese regolari.

La certificazione halal aiuta i clienti musulmani negli acquisti perché li assicura che il prodotto è privo di componenti 'haram', 'proibiti' dalla legge sacra. Gli obblighi dei fedeli islamici in campo alimentare derivano da un passaggio del Corano, il libro sacro dell'islam. È un versetto della sura (capitolo) 'Al-Baqara' (La Giovenca), il 168: "O uomini, mangiate ciò che è lecito e puro di quel che è sulla terra, e non seguite le orme di Satana. In verità egli è un vostro nemico dichiarato".

Il Corano è una delle due fonti del codice alimentare islamico. L'altra è il secondo punto di riferimento dell'islam, la Sunna, cioè la raccolta dei detti, dei fatti e dei comportamenti del profeta Muhammad, Maometto, fondatore di questa religione. La legge sacra proibisce di consumare la carne di animali la cui morte è avvenuta per cause diverse dalla macellazione rituale islamica, il sangue (infatti il metodo islamico di macellazione consente di espellerlo dal corpo dell'animale), la carne dei suini e di alcuni altri animali, le bevande che provocano ubriachezza e le sostanze che alterano lo stato di coscienza (gli stupefacenti).

Il mercato dei prodotti conformi alla legge religiosa islamica, però, come detto non si esaurisce nel settore alimentare. Esistono cosmetici e farmaci halal, e anche prodotti assicurativi e finanziari. Questi ultimi rispondono ai precetti dell'islam che disciplinano le attività economiche, sulla base dei quali si fonda la finanza islamica. Questa si è espansa anche fuori dal mondo musulmano e muove ogni anno migliaia di miliardi di dollari. Nel nostro Paese non esistono banche islamiche, a differenza della Gran Bretagna ad esempio, ma istituti di credito nostrani sono interessati ad offrire prodotti adatti ai fedeli musulmani, che secondo la Caritas in Italia sono un milione e mezzo.