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Sabato, 08 Dicembre 2012 22:29

Il congresso mondiale del cibo "islamico" approda a Malpensa

A Malpensa, a due passi dall'aeroporto che è sempre più la "porta" verso il Medio Oriente e l'Estremo Oriente, si ritrovano gli esperti di certificazione del cibo "Halal", vale a dire conforme alla religione musulmana. Un convegno davvero insolito, che ricorda anche il valore economico della filiera agroalimentare, in Italia e nel mondo: l'evento - due giorni a partire dall'1 marzo, allo Sheraton dell'aeroporto - è organizzato dal World Halal Food Council, ovvero il concilio europeo sul cibo Halal, e per la prima volta è organizzato in Italia.

Per organizzare la manifestazione quest’anno è stata scelta la filiale italiana di HIA, Halal International Authority, l’unico organismo italiano, membro del WHFC, riconosciuto a livello internazionale da enti Governativi e non, in grado di certificare a livello mondiale prodotti agroalimentari (e non) secondo gli standard islamici. «Sono rappresentati diciannove associazioni in Europa, ma ci saranno rappresentanti anche da Stati Uniti, Asia centrale, Indonesia (compresi delegati del governo), Australia» spiega l'ingegnere Sharif Lorenzini, presidente di HIA. La tre giorni halal è molto intensa: prima tappa venerdì mattina alla Camera di Commercio di Bergamo per l'incontro con aziende lombarde (nella foto accanto), sabato la giornata allo Sheraton Malpensa, domenica un ulteriore incontro a Milano, con eventi rivolti ai consumatori (si prevede il coinvolgimento di seicento persone).

Ma quanto vale il mondo Halal in Italia? «Sul mercato interno vale 8 miliardi di euro di fatturato annuo mercato interno,  con quattro milioni di consumatori in Italia» continua Lorenzini (nella foto a destra). Quanto all'export, vale «dai 13 ai 17 miliardi annui».  Se in Europa ci sono 38 milioni di consumatoridi prodotti halal, l'85% dell’export è comunque rivolto ad area del Sud-Est asiatico, in particolare verso l’Indonesia (il più grande Paese musulmano del mondo, 230 milioni di abitanti) e la Malesia. Nell'esportazione, la fa da padrone il made in Italy d’eccellenza: olio d’oliva, prodotti caseari (a partire dai formaggi dop), farinacei, legumi, conserve, pasticceria. Ma non manca anche l'esportazione di semilavorati, come i prodotti base per gelati, i coloranti naturali, gli olii essenziali. Tutti prodotti di qualità, che spiegano perchè il mercato halal in Italia sia oggi in realtà un affare per i produttori italiani doc e non per l'imprenditoria immigrata, ancora lontana da standard qualitativi per le esportazioni. Le aziende coinvolte vanno dalle multinazionali italiane dell'agroalimentare alle piccole-medie imprese: scorrendo la lista delle imrpese certificate si trovano il biscottificio toscano e la "Mutti" della passata di pomodoro, il produttore d'olio di Camogli nato nel 1907 e l'oleificio industriale umbro, il produttore di Yoghurt della bassa bresciana, le torrefazioni di caffè friulane e campane, il produttore di carni bovine di Pontida.

Il fenomeno è relativamente recente, ma il segmento di mercato è sempre più rilevante per le imprese italiane. «Prima del 2010 - ricorda Lorenzini - le aziende non potevano esportare prodotti verso il mondo musulmano. In due anni e mezzo abbiamo certificato 130 aziende italiane, comprese aziende multinazionali. Il trend è in grande crescita, nell’ordine del 300% annuo, sia come numero di aziende che come singoli prodotti: sono 3500 i prodotti certificati.  Abbiamo addirittura aziende multinazionali che hanno individuato nuova meta di crescita economica, aziende medio-piccole che si stanno affacciando ora (Hallal Club, per promozione commerciale), fino ad arrivare alle aziende che si costituiscono per rivolgersi specificamente al prodotto halal e vivono su una produzione orientata al 100% a questo mercato».

Il mercato, poi, non è ristretto al solo settore agroalimentare, riguarda ad esempio i settori della farmaceutica e della cosmesi naturali. Si guarda anche a servizi alberghieri e alla sanità privata, dove i clienti facoltosi possono spendere cifre molto alte per assicurarsi il rispetto delle norme islamiche. Ma non solo: si aprono sempre più spazi anche sulla filiera, perchè la certificazione non riguarda solo il prodotto in sé, ma anche il trasporto e la commercializzazione. Così vengono certificati porti (come quello di Taranto, primo in Italia ad ottenere il marchio), interporti, compagnie aeree. Quello del trasporto aereo, poi, è un settore particolarmente interessante: «La certificazione è richiesta dalle compagnie aeree di Paesi musulmani, ma anche dalle compagnie che coprono tratte verso Paesi musulmani». Un affare anche per gli operatori di catering, come per esempio l'Air Chef che è stata la prima ad ottenere la certificazione.