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Giovedì, 18 Agosto 2011 16:12

La Puglia punta al mercato “Halal”

BARI – L’obiettivo è favorire l’incremento del numero di imprese che possono entrare nel circuito di esportazione non solo nei Paesi dell’area del Mediterraneo, ma anche quelli dove la presenza dei musulmani è consistente e il prodotto Halal ha maggiori opportunità di penetrazione commerciale.Con queste parole il presidente della Camera di Commercio Italo-Orientale di Bari, Antonio Barile, ha presentato questa mattina il protocollo d’intesa firmato con Halal Italy, autorità internazionale di certificazione islamica, impegnata nella promozione del mercato Halal, ovvero tutti quei prodotti che per origine, tracciabilità, processi di lavorazione e sicurezza sono considerati leciti per i musulmani.

“Il giro di affari è pari a centoquintanta miliardi di dollari annui nel mondo, nove miliardi in Europa e cinque in Italia. La certificazione Halal Italy permette alle aziende italiane di entrare in contatto con oltre due miliardi di potenziali consumatori” spiega Sharif Lorenzini, presidente di Halal Italy.
Il principio generale della religione islamica è quello di proteggersi dal male, quindi anche evitare cibi o bevande che possono essere prodotti in modo non idoneo per la nostra salute e integrità, spiega Doriana Cisonno, responsabile comunicazione della Halal Italy. “L’attenzione della certificazione – continua Cisonno – si concentra sui cibi e sugli alimenti a base di proteine o grassi di origine animale come tutta la carne (esclusa quella di maiale), che va macellata secondo un preciso rituale, ma anche le bevande che non devono contenere alcool”.
Settori in forte sviluppo per la cultura Halal sono quelli dei cosmetici e dei farmaci.
Con il protocollo d’intesa si procederà alla certificazione delle produzioni pugliesi e come spiega Dario Stefano, assessore regionale alle Risorse agroalimentari, “la certificazione diviene un’ulteriore garanzia per il consumatore perchè deve essere garantita la tracciabilità: ciò significa che è indispensabile conoscere la provenienza di determinati prodotti, così come richiesto dalle direttive della comunità europea”.
Barbara Facchini